Dibattito a Roma: un altro tassello svelato

Quattro protagonisti hanno rivissuto lo scandalo Eni Petromin rivelando anche particolari inediti, nel corso della presentazione del libro di Donato Speroni “L’intrigo saudita” – Cooper editori – che si è svolta martedì 10 all’Hotel Nazionale di Roma. Il testo integrale può essere riascoltato su Radio Radicale. Stimolati dalle domande del giornalista Sergio Rizzo del Corriere della Sera, Franco Bassanini, Giorgio la Malfa, Gianluigi Melega (ex parlamentari che nel 1979 fecero parte della Commissione d’indagine della Camera) e Giorgio Mazzanti (ex presidente dell’Eni) hanno ripercorso le vicende della maxitangente che 30 anni fa scatenò vivaci polemiche tra i giornali, cambiò la maggioranza nel Partito socialista e costò la poltrona a Mazzanti.

Bassanini, che all’epoca era capo dell’Ufficio del programma del Partito socialista, ha ricordato quanto fosse difficile ricostruire la verità in un clima tanto avvelenato e per la prima volta ha dichiarato che il governo (il presidente del consiglio dell’epoca era Francesco Cossiga) in seduta segreta rivelò ai parlamentari della Commissione che la tangente del 7% sulla fornitura di petrolio arabo era interamente destinata ai sauditi. “Nella vicenda Eni Petromin io arrivai alle medesime conclusioni a cui è arrivato Donato Speroni nel libro avendo una serie di elementi di cui allora non disponevamo. Però devo anche dire – ha aggiunto Bassanini rivelando un tassello rimasto misterioso per trent’anni –  che nella riunione segreta della Commissione d’indagine fu esplicitamente detto – e per questo fu segretata – che il governo aveva appurato che la tangente era andata ai sauditi e che ne disponevano loro. E questa rivelazione arrivò alla fine dell’indagine conoscitiva. Io firmai una relazione di minoranza, ma ricordo il mio imbarazzo perché non potevo citare la prova più forte cioè quello che i rappresentanti del governo ci avevano detto con dati e fatti,in una riunione però coperta da segreto”.

La Malfa, deputato repubblicano nel 1979, ha spiegato le ragioni che indussero molti parlamentari a ritenere erroneamente che una parte della tangente rientrasse in Italia: aspetti molto complessi della trattativa, che coinvolgeva finanziarie estere dell’Eni e prevedeva una fideiussione, clima generale di sospetto per i finanziamenti illegali che dalle partecipazioni statali arrivavano ai partiti e per la presenza di forze oscure che condizionavano la vita politica a cominciare dalla P2, debolezza del governo che non ebbe il coraggio di difendere fino in fondo il vantaggioso contratto stipulato dall’Eni con la saudita Petromin: una diagnosi questa confermata anche dall’ex deputato radicale Melega, che ha detto “Io venivo dal giornalismo e facevo domande, ma avevo la sensazione che mi  mancassero gli elementi di contesto”.

Speroni, autore del libro, ha ricordato gli elementi salienti del suo lavoro di ricostruzione, che ha consentito di rovesciare la “memoria storica”, dimostrando che la vicenda non era stata gestita dalla P2: le testimonianze raccolte nel corso degli anni concordavano sul fatto che la tangente non era ritornata in Italia.

Mazzanti ha ricordato le emozioni e le sofferenze di quegli anni, dall’incoraggiamento dei governi Andreotti e Cossiga a procurare greggio a qualsiasi costo, nel pieno della crisi petrolifera che imperversava nel 1979, fino alla sua sospensione e alle pressioni che lo indussero a dimettersi.

“C’era rispetto per Mazzanti”, ha detto ancora La Malfa, “come persona di grande tradizione di studi e di grande passione, Credo che non abbia avuto l’impressione che ci fosse un’ostilità preconcetta, ma fu molto torchiato da tutti noi. Se le ricerche di Speroni possono restituirgli a 30 anni di distanza un onore che quella vicenda gli tolse, io sarei felice che così fosse.

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